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martedì 4 settembre 2012

Traditori ed eroi


Se gli chiedi se oggi, sedici anni dopo la fine dell’assedio, possa camminare liberamente per Istočno Sarajevo, Jovan Diviak guarda per terra e scuote la testa. Quindi ti ricorda che per i serbi lui è ancora un traditore. Anzi, lui è il traditore per eccellenza: è il generale serbo che ha scelto di difendere Sarajevo dall’esercito serbo. Lo hanno accusato di crimini contro l’umanità. Qualche anno fa, in occasione di un suo viaggio a Vienna sono pure riusciti a farlo arrestare, sia pure per poco tempo. Ma se il tribunale europeo lo ha assolto con formula piena, quello di Belgrado lo ha condannato in via definitiva. Il governo serbo, anche dopo la caduta di Milosevic, non gli ha mai perdonato di essersi schierato dalla parte dei civili e di non aver mai abbracciato la causa nazionalista. “Non posso dire che la mia sia stata una scelta difficile - racconta -. Schierarmi a difesa della città dove sono nato e della sua gente che è la mia gente, siano essi bosniacchi, serbi, croati o che altro, è stata per me una scelta naturale. Certo, sono serbo, non potrei e non vorrei neppure negarlo, ma sono anche e soprattutto un bosniaco, oltre che un generale delle forze armate della repubblica di Bosnia ed Erzegovina che ha giurato di difendere a qualunque costo il popolo. Mi hanno chiamato traditore. E io rispondo che sono nato ‘traditore’ dal ventre di mia madre, serba di Bosnia”.

Ma se tra le case di Sarajevo est, annesse alla Republika Srpska,  Jovan Diviak è un criminale e un traditore, nella Sarajevo federale Jovan Diviak è un eroe. L’affetto e l’ammirazione con i quali viene riconosciuto e salutato dalle gente che incrocia per strada non lasciano dubbi in proposito.
Camminare per le vie di Sarajevo accanto a lui è come camminare accanto ad una leggenda vivente. I vecchi lo salutano col rispetto che si deve ad un grande amico, i giovani lo fermano timidamente per chiedergli di farsi fotografare accanto a loro.
Oggi, nella nostra seconda giornata a Sarajevo, il generale ha accettato di incontrarci e di trascorrere mezza giornata con “i suoi amici italiani”. Con lui abbiamo visitato il museo della Memoria e quindi percorso i 25 metri ancora conservati dello stretto tunnel che si snodava sotto l’aeroporto e che, unica via di comunicazione, collegava la città assediata alle linee del monte Igmar che resistevano ai bombardamenti e agli attacchi dei serbi. Davvero, sono state ore emozionanti oltre che estremamente interessanti perché nessuno al pari di Jovan Diviak conosce la disposizione delle truppe e gli accadimenti di quei terribili giorni in cui Sarajevo veniva violentata nell’indifferenza della comunità internazionale. Traditore ed eroe allo stesso tempo. La storia ha posto Jovan Diviak di fronte ad una scelta. E lui ha fatto quella giusta. “Ogni giorno abbiamo una grande responsabilità - spiega sorridendo - dobbiamo scegliere con che faccia domani mattina ci guarderemo nello specchio”.

1 commento:

  1. Da "tentativo di decalogo per la convivenza interetnica" di Alex Langer

    Dell'importanza di mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera. Occorrono "traditori della compattezza etnica", ma non "transfughi"

    In ogni situazione di coesistenza inter-etnica si sconta, in principio, una mancanza di conoscenza reciproca, di rapporti, di familiarità. Estrema importanza positiva possono avere persone, gruppi, istituzioni che si collochino consapevolmente ai confini tra le comunità conviventi e coltivino in tutti i modi la conoscenza, il dialogo, la cooperazione. La promozione di eventi comuni ed occasioni di incontro ed azione comune non nasce dal nulla, ma chiede una tenace e delicata opera di sensibilizzazione, di mediazione e di familiarizzazione, che va sviluppata con cura e credibilità. Accanto all'identità ed ai confini più o meno netti delle diverse aggregazioni etniche è di fondamentale rilevanza che qualcuno, in simili società, si dedichi all'esplorazione ed al superamento dei confini: attività che magari in situazioni di tensione e conflitto assomiglierà al contrabbando, ma è decisiva per ammorbidire le rigidità, relativizzare le frontiere, favorire l'inter-azione.

    Esplosioni di nazionalismo, sciovinismo, razzismo, fanatismo religioso, ecc. sono tra i fattori più dirompenti della convivenza civile che si conoscano (più delle tensioni sociali, ecologiche o economiche), ed implicano praticamente tutte le dimensioni della vita collettiva: la cultura, l'economia, la vita quotidiana, i pregiudizi, le abitudini, oltre che la politica o la religione. Occorre quindi una grande capacità di affrontare e dissolvere la conflittualità etnica. Ciò richiederà che in ogni comunità etnica si valorizzino le persone e le forze capaci di autocritica, verso la propria comunità: veri e propri "traditori della compattezza etnica", che però non si devono mai trasformare in transfughi, se vogliono mantenere le radici e restare credibili. Proprio in caso di conflitto è essenziale relativizzare e diminuire le spinte che portano le differenti comunità etniche a cercare appoggi esterni (potenze tutelari, interventi esterni, ecc.) e valorizzare gli elementi di comune legame al territorio."

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