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domenica 2 settembre 2012

Mostar

La sveglia arriva con la dogana. Passaporto, documenti, controllo bagagli. Sono le 8 della mattina e siamo arrivati alla frontiera tra la Croazia e la Bosnia. Ci siamo fatti la notte in pullman. Viaggiare col buio è come navigare in un mare senza stelle e senza fari. Bisogna attendere la costa, o il sorgere del sole, per comprendere dove si sta per approdare.
La partenza da Venezia, dove avevamo appuntamento con gli amici della Fondazione Langer da Bolzano e un chiassoso gruppo di romagnoli, è stata abbastanza puntuale e il viaggio tranquillo. A nostra disposizione abbiamo un pullman modello Gran Turismo piuttosto comodo, tenendo anche presente che non lo riempiamo neppure per la metà.
Il gruppo veneziano coordinato dal Centro Pace di Venezia, dopo gli inevitabili aggiustamenti dell’ultima ora, è composto da sette persone: Tea, Francesca, Giovanna, Laura, Piero, Luigi ed io che scrivo, Riccardo.
Oggi è il nostro primo giorno di viaggio. L’Erzegovina ci accoglie con un paesaggio che si dipana tra basse colline povere di vegetazione. Per svegliarci come si deve ci vorrebbe un buon caffè. Ci pensano gli amici della Fondazione Langer ad offrircene uno “metafisico” sotto forma di una lettura che spiega come questa bevanda sia stata uno dei primi prodotti ad essere globalizzati - come diremmo oggi - superando sulle ali del suo aroma tutti i confini imposti dalle nazioni e dalle religioni. Interessante. Ma avremmo comunque preferito un caffè vero.

Per arrivare a Mostar, nostra prima destinazione dove magari un caffè lo potremmo trovare sul serio, dobbiamo attraversare la Piana Bianca. Una pianura ricoperta di pietre che le regalano il caratteristico candore. E proprio la gran quantità di pietre - una quantità che appare addirittura inspiegabile se si considera che le montagne qui sono alte poche centinaia di metri - desta stupore in chi si trova a viaggiare per queste contrade. Vien da chiedersi se tutta l’Erzegovina altro non sia che un enorme mucchio di sassi dove, casualmente, tra una fessura e l’altra, per grazia ricevuta, cresce qualche ciuffo d’erba oppure se non si stia viaggiando in un grande prato dove il Creatore si è divertito a spargerci tutte le pietre che gli sono avanzate dalla creazione del mondo. Accreditiamo la prima ipotesi. Anche la Neretva, il fiume di Mostar di un azzurro inconcepibile che qui definiscono un corso d’acqua “nervoso” proprio come la terra in cui scorre, si è dovuto faticosamente scavare il letto tra le rocce.
Arriviamo a Mostar verso mezzogiorno, dopo aver superato le ultime asperità. Nuvole basse sfumano gli alti orizzonti che circondano la città sul fiume, conferendo al paesaggio un tocco di irrealtà. Le aspre colline che un tempo erano considerate le mura e la difesa della città, durante i due tragici assedi hanno offerto una posizione di vantaggio alle artiglierie nemiche, prima a quella serba e poi a quella croata, che hanno impunemente devastato la città come in una sorta di tiro al bersaglio senza premi.
Il vecchio ponte storto che dà il nome a Mostar, la città dei “guardiani del ponte”, abbattuto dai croati è stato ricostruito nel 2004 cercando di rimanere più fedeli possibile all’originale. “Al di là di tutte le giuste considerazioni che possiamo fare sull’opportunità o meno di ricostruire dal nuovo una struttura antica distrutta - mi ha confessato un amico di Mostar - resta l’innegabile fatto che oggi la città, col suo nuovo ponte, ha recuperato la sua anima. Ci sono cose che non si spiegano ma che sono comunque reali. Chi vive qui lo capisce”.
Dopo una visita nella città vecchia, tra bazar, moschee e ripide salite sui minareti, siamo attesi dai ragazzi del centro culturale Abrašević. “Il nostro lavoro - spiega Ronald, un loro portavoce - è quello di costruire ponti come dei buoni cittadini di Mostar, non tra sponde ma tra culture diverse. Il nostro centro è un luogo aperto a tutti. Prima della guerra, di posti così ce n’erano tanti. Oggi il nostro spazio è l’unico in tutta Mostar. Abbiamo dedicato il nostro centro ad un grande poeta morto appena diciannovenne perché la cultura è la nostra arma migliore e vogliamo, dobbiamo recuperare la tradizione di Mostar che era una tradizione di convivenza e di interculturalità. Per voi che venite da fuori non è facile capire la nostra realtà, ma vi assicuro che ogni questione, ogni iniziativa pure piccola che qui si organizza deve scontrarsi con gli strascichi della guerra. Niente è come prima. La bella piazza che avete appena attraversato, ad esempio. Un tempo era solo la piazza di Mostar. Oggi invece è uno spartiacque tra quartieri di etnie diverse”. La guerra ha dei costi che vanno ben oltre la guerra.
Tornando verso il nostro albergo attraversiamo una città che fa di tutto per sembrare allegra. Le strade sono piene di giovani e meno giovani in cerca di divertimento. Belle ragazze vestite alla moda, uomini eleganti. I tavolini dei bar sono coperti da bottiglie vuote e da boccali riempiti di birra schiumante. Musica a tutto volume esce dai locali sino alle strade. Folk bosniaco ma anche pop americano e inevitabili ritmi sudamericani. Le coppie ballano sotto storici edifici ancora transennati dal tetto abbattuto dalle artiglierie. Le insegne di pasticcerie ben fornite e di negozi eleganti illuminano muri scheggiati dalla mitraglia. Ma la guerra continua a sembrarci ancora una impossibile eventualità.

1 commento:

  1. appena tornata anch'io da Mostar...bella testimonianza! Avete visto il nostro murales della pace, dipinto nel 1996, sui muri della strada che porta verso Sarajevo? un abbraccio
    Anna, di Verona, ma vivo in Croazia dal 1996
    il nostro blog è: www.perunmondomigliore.wordpress.com

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