“La strage degli innocenti assume le forme più varie.
E’ strage di bambini, di uomini e di donne, di animali, di memorie, di monumenti. La moschea di Gazi Husrev-Beg, nella città vecchia, una delle opere più belle dell’architettura islamica in Bosnia, ora è sfregiata, lesa, riempita di schegge e frantumi, bucherellata.
E’ anche strage di sentimenti, di speranze. Ma a questo si oppone, appunto, la tenace difesa di una vita quotidiana possibile, di una possibile normalità, che tutti a Sarajevo sembrano ingaggiare.
E allora, ecco, mi sembra che noi siamo venuti non tanto a portare speranza, bensì a riceverne, poiché se questo è possibile qui, allora anche la speranza lo è veramente.
Allora è possibile pensare la pace davvero, oggi, mentre la guerra incalza, ai bordi dell’Europa dei ricchi consumi e della pace sazia, l’Europa ignava, indifferente. Allora è per questa pace, che prescinde dalle grandi diplomazie garantite dagli eserciti, che è possibile rischiare, venendo fin qui, nel centro violento del conflitto. Perché quella gente – per una volta l’abusata parola della nostra retorica politica ha un senso preciso e alto – quella gente resiste, preparerà un futuro non disumano, in cui di nuovo conteranno i gesti indispensabili, essenziali, i gesti di vita della vita quotidiana, irrinunciabili come respiri, che non si lasceranno snaturare dalla guerra.”
(Sarajevo Maybe, di Gianfranco Bettin, 1994, Feltrinelli Editore Milano, pag.134)
Sento il bisogno di scrivere, per comprendere il significato di questo viaggio, per esprimere il più possibile quello che mi porto dentro.
Il mio viaggio è iniziato con una e-mail di Laura del Centro Pace di Venezia. Aveva invitato i volontari del servizio civile a fare un viaggio in Bosnia. Sapevo che non era a scopo turistico ed è per questo che ho scelto di andarci. Ho sempre preferito viaggiare in maniera "responsabile".
Più si avvicinavano i giorni alla mia partenza più iniziavo a farmi domande: "io in Bosnia? Mi sembra assurdo, ma cosa ci vado a fare in Bosnia? Sinceramente non mi sono mai interessata ai Balcani, io preferisco il Sud. Ma che si andrà a fare là? Non conosco bene la loro storia, non so niente del conflitto, ero troppo piccola e troppo presa nel mio mondo per sapere che esisteva la Bosnia nel 1992. bah...si vedrà".
Sono partita senza essermi informata di niente, né sul programma settimanale, né su quello che era successo in quei posti ...sapevo solo dove si trovava geograficamente e avevo solo un’unica idea ben chiara, che mi porto dentro in ogni viaggio: LORO NON SONO COSi' DIVERSI DA NOI, SIAMO FATTI DELLA STESSA CARNE E ABBIAMO GLI STESSI SENTIMENTI.
Queste erano le premesse.
Dopo una lunga nottata in pullman siamo arrivati a Mostar.
A prima vista, un grazioso paesino attorno alle colline, molto turistico, con molta gente, con un bel mercato che richiamava luoghi e colori arabi, poi appena fuori dal mercato vi trovo uno dei tanti palazzoni distrutti, senza più i piani, (figuriamoci il tetto) con ancora tutte le macerie dentro e penso: "chissà quanta vita ci doveva essere, un tempo, qua dentro". Faccio qualche passo, giro l’angolo e mi trovo una palazzina, tutt’ora abitata, con i segni di una mitragliata sul muro.
Perdendoci un po’ per il paese decidiamo di andare a vedere una piccola mostra fotografica sopra la torre, vicino al famoso ponte (una bellezza!), le foto invece rivelano anni difficili, l’altra parte di Mostar, non più arabeggiante, ma sporca e disastrata, piena di macerie, senza il ponte.
Continuando con il nostro girovagare entriamo nella moschea, l’esperienza è unica e rimango piacevolmente sorpresa quando Andrea ci fa notare che nelle vetrate colorate c’è la stella di David, segno di un senso di assimilazione ormai perduto.
Insomma, anche Mostar sa essere bella, ammaliante e veritiera nella stessa misura.
In fine, verso sera abbiamo visitato un Centro Giovanile OKC Abrašević, dove, con mia grande sorpresa abbiamo iniziato un laboratorio di teatro. Mi sono divertita molto perché abbiamo fatto un laboratorio misto, composto da italiani e bosniaci, tutti insieme. E’ servito per conoscerci, per comprendere l’altro attraverso il divertimento e il movimento.
Questa, era una attività che avevo in programma da tempo, ma per via dei soldi e del tempo non ero mai riuscita a farla.
Comunque il Centro Giovanile sembrava bello e la maggior parte dei giovani si è vista solo dopo cena, seduta ad un tavolino, con una birra in mano, a parlare e ad ascoltar musica, come tutti i giovani di questo mondo (con o senza birra).
... to be continued