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lunedì 3 settembre 2012

Sarajevo

“Cominciò tutto con una legge che fu fatta passare come una conquista democratica. Adesso, col senno di poi, sono sempre più convinto che sia stata una operazione predeterminata e portata avanti con uno scopo ben preciso. Perché è stata proprio la legge che ha abolito l’articolo 143 che istituiva il reato di opinione ad aprire la strada alla guerra. Prima se qualcuno istigava all’odio razziale finiva in galera. Dopo, grazie a questa ‘conquista democratica’ ciascuno poteva insultare chiunque. All’inizio si cominciò nell’indicare nelle altre etnie la causa di tutti i mali che affliggevano la Jugoslavia. E tutti stettero zitti, perché le opinioni sono sacre e vano tutte rispettate in una democrazia. Poi si continuò col dire che ‘bisognerebbe ammazzarli tutti’.
E ancora chi non faceva parte dell’etnia accusata se ne stette zitto perché non erano affari suoi. Due anni dopo l’abolizione dell’articolo 143 cominciarono i massacri. E allora mi chiedo se chi parla o scrive non debba assumersi la responsabilità di quello che dice o che scrive. E mi chiedo anche se chi ascolta non abbia un’altra responsabilità non meno grave: quella di non stare zitto. Perché, se qualcuno insulta un nero per il colore della sua pelle, soprattutto chi non ha la pelle nera deve reagire e non accettare l’insulto”. Amir Misirlić è quello che si dice un personaggio. Nato come critico musicale, esperto ed appassionato di musica rock, si trovò catapultato nel cuore del conflitto e trasformato in un giornalista di guerra quando la sua città, Sarajevo, venne cinta d’assedio. “Siccome un critico musicale non fa paura a nessuno - racconta - fui uno dei pochi a poter seguire la battaglia semplicemente guardando dalla mia finestra e telefonando alle redazioni”. Il gioco non durò molto e ad un certo punto Amir fu costretto a scappare perché a nessun militare, qualsiasi sia la sua bandiera, piace chi racconta i fatti al di fuori delle veline degli uffici stampa delle caserme. Oggi Amir è ritornato ad occuparsi della sua musica preferita ma non ha smesso di impegnarsi per la sua terra “tanto bella quanto sfortunata” ed è stato eletto assessore alle politiche giovanili a Vogoŝća, un Comune nel cantone di Sarajevo. Proprio a Vogoŝća siamo ospiti del centro culturale giovanile. Nella tarda mattinata abbiamo lasciato - non senza rimpianti - l’incantevole Mostar per scendere a sud, nel cuore della Bosnia, e raggiungere Sarajevo dove ci fermeremo un paio di giorni. Il nostro hotel è situato nella prima periferia della città, tra una foresta di palazzoni alti dai sei ai sedici piani, separati da larghe strade e collegati al cuore urbano dal mitico tranvai di Sarajevo. A poca distanza si trova l’ambasciata americana e l’Holiday Inn, che pare costruito con gialli mattoncini del Lego, e che fu la sede della stampa estera durante il conflitto.
L’incontro con Amir Misirlić e gli amici del centro culturale di Vogoŝća che si occupa di educazione interculturale è stato il punto focale della giornata e ci ha dato lo spunto per riflettere sulle responsabilità legate alla libertà di espressione e sui danni che ne possono derivare. “Oggi - ha concluso Amir - una legge vieta gli insulti etnici e la stampa non fa più da grancassa alle affermazioni di politici razzisti e nazionalisti. Ma chi può mettere a tacere i tanti, troppi siti che incitano all’odio oppure a quei beceri striscioni che inneggiano alla pulizia etnica ancora appesi negli stadi? Purtroppo le urla di cento imbecilli fanno più rumore del silenzio di centomila persone che vorrebbero vivere in pace. Per questo vi invito a non concedere più nulla a chi sparge odio. Un male di cui nessuno, neppure il più puro tra di voi può dirsi immune”.

Nell'immagine, Amir Misirlić al centro della foto parla con i ragazzi di Buongiorno Bosnia.

1 commento:

  1. Da "tentativo di decalogo per la convivenza interetnica" di alex langer

    Diritti e garanzie sono essenziali ma non bastano; norme etnocentriche favoriscono comportamenti etnocentrici

    Non si creda che identità etnica e convivenza inter-etnica possano essere assicurate innanzitutto da leggi, istituzioni, strutture e tribunali, se non sono radicate tra la gente e non trovano fondamento in un diffuso consenso sociale; ma non si sottovaluti neanche l'importanza di una cornice normativa chiara e rassicurante, che garantisca a tutti il diritto alla propria identità (attraverso diritti linguistici, culturali, scolastici, mezzi d'informazione, ecc.), alla pari dignità (attraverso garanzie di piena partecipazione, contro ogni discriminazione), al necessario autogoverno, senza tentazioni annessionistiche in favore di qualcuna delle comunità etniche conviventi. In particolare appare assai importante che situazioni di convivenza inter-etnica godano di un quadro di autonomia che spinga la comunità locale (tutta, senza discriminazione etnica) a prendere il suo destino nelle proprie mani ed obblighi alla cooperazione inter-etnica, tanto da sviluppare una coscienza territoriale (e di "Heimat") comune: ciò potrà contribuire a scoraggiare tentativi di risolvere tensioni e conflitti con forzature sullo "status" territoriale (annessioni, cambiamenti di frontiera, ecc.).

    E non si dimentichi che leggi e strutture fortemente etnocentriche (fondate cioè sulla continua enfasi dell'appartenenza etnica, sulla netta separazione etnica, ecc.) finiscono inevitabilmente ad inasprire conflitti e tensioni ed a generare o rafforzare atteggiamenti etnocentrici, mentre - al contrario - leggi e strutture favorevoli alla cooperazione inter-etnica possono incoraggiare ed irrobustire scelte di buona convivenza.

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